Stefania Collet
Esperta di comunicazione.
Mi occupo di comunicazione nell’ambito delle malattie rare, un po’ per caso un po’ per scelta, dalla fine degli anni novanta. Credo di non esagerare se dico che probabilmente sono anche io un “caso raro” perché, per queste tematiche, ho avuto la possibilità di ricoprire tre ruoli assai diversi.
Dopo un diploma di maestro d’arte, e quasi 10 anni passati a lavorare nel mondo del restauro di affreschi, nel ‘97 mi sono avvicinata al mondo della comunicazione in un’agenzia di comunicazione che si occupava soprattutto di malattie rare. In quegli anni, era necessario lavorare per costruire, prima di tutto, la cultura delle malattie rare e di quello che rappresentano per milioni di persone coinvolte e solo successivamente cominciare a costruire l’informazione.
Dopo un po’ di anni ho cominciato a lavorare per Parent Project Onlus, un’associazione di genitori che si occupa di distrofia muscolare di Duchenne e Becker, dove sono rimasta per 8 anni. Quando diventi la voce di centinaia di famiglie, il lavoro che prima pensavi di conoscere si modifica completamente. Qualsiasi cosa mi trovassi a scrivere mi dicevo: pensa che ti sta leggendo un papà o una mamma o una nonna che non fa parte di una comunità preparata e ciò che legge dove affrontarlo senza nessuno al fianco che può sostenerlo.
Oggi lavoro per l’Osservatorio Malattie Rare, la prima testata giornalistica dedicata esclusivamente a queste patologie, e quello che serve è un modo ancora diverso di comunicare. Da una parte è necessario avere a mente il rigore scientifico dell’informazione, dall’altra devi fare in modo che tutti possano comprendere ciò che scrivi perché le informazioni che diffondi possono essere determinanti per la vita di qualcuno. Comunicare la salute, e i suoi diritti, per una testata giornalistica può essere “facile”, chi scrive di patologie conosciute come il cancro o il diabete può permettersi di andare alla ricerca del titolo che fa notizia perché i lettori sanno di cosa si sta parlando. Per le malattie rare non funziona così, è più difficile… ma anche più stimolante.
Il mio lavoro è proprio come il mondo delle malattie rare e della loro comunicazione: un’evoluzione continua di modi di pensare, di cose da scoprire, di persone da incontrare.